mercoledì 30 maggio 2007

il colosseo

L'ESTERNO DEL COLOSSEO
Per poter capire come era il Colosseo è bene posizionarsi dal
lato di Via dei Fori Imperiali dove si può vedere l'anello
esterno. Tale anello si sviluppa su quattro ordini per un'al-
tezza complessiva di 49 metri circa e realizzati in blocchi
quadrati di travertino sovrapposti senza malta e fissati tra lo-
roda perni metallici. I blocchi di travertino impiegati svilup-
pano un volume stimato in circa 100.000 m3 e provengono
tutti dalle cave situate alle pendici della collina su cui sorge
Tivoli (Tibur), più esattamente dalla località denominata
Acque Albule. Per portarli a Roma venne aperta una strada
larga sei metri e giunti nel cantiere i blocchi venivano lavo-
rati e rifiniti.
I primi tre ordini sono costituiti da ottanta arcate inquadrate
da semicolonne con capitelli tuscanici nel primo livello, ioni-
ci nel secondo e corinzi nel terzo. I capitelli dei vari ordini
sono stati scalpellati in maniera non perfetta poiché non era
necessaria una perfetta rifinitura dei particolari a causa del-
l'effetto visivo a distanza. Nelle arcate del secondo e terzo
ordine erano situate delle statue. Il quarto ordine è suddivi-
so in ottanta riquadri divisi da lesene corinzie e intervallati
da quaranta finestre, una per ogni due arcate sottostanti;
inoltre l'ornamento esterno dell'attico doveva prevedere degli
scudi (detti clipea) appesi tra le finestre ad intervalli regolari.
All'interno dei riquadri c'erano tre mensole che erano poste
in corrispondenza di altrettanti fori nel cornicione e che ser-
vivano a sorreggere le travi di legno alle quali veniva fissato
il velarium. Si trattava di un grosso telo, probabilmente divi-
so in spicchi, necessario alla protezione del pubblico dalla
pioggia e dal sole e veniva manovrato per tali occasioni da
uno speciale reparto di marinai distaccato dalla sede della
flotta situata a Miseno.
Gli ingressi, posti al primo ordine, erano distinti da una nu-
merazione progressiva posta al di sopra delle arcate (che è in
parte ancora visibile) che corrispondeva al numero riportato
sui singoli biglietti; gli ingressi principali, posti in corrispon-
denza dei due assi, erano privi di tale numerazione dato che
erano riservati a un pubblico scelto. Nell'unico degli ingressi
principali rimasto, sono ancora visibili le basi di un porti-
chetto che nell'antichità era sormontato da una quadriga; do-
veva essere uguale l'ingresso situato sul lato opposto che do-
veva essere utilizzato come il primo dalle autorità politiche.
A far risaltare l'importanza di questi ingressi c'erano anche
delle decorazioni a stucco con figure situate sulle volte delle
arcate, sfortunatamente oggi difficilmente leggibili poiché
molto rovinata; tali stucchi possono essere ricostruiti grazie
ad alcune stampe del Cinquecento che ne mettevano in evi-
denza la bellezza.
Lungo gli assi principali erano gli ingressi destinati ai gla-
diatori.
Intorno all'anfiteatro c'era un'area lasciata libera dove non
erano presenti abitazioni; tale spazio aveva una pavimenta-
zione in travertino dove erano situati dei cippi di pietra in-
torno al Colosseo che servivano come blocchi per fissare il
velarium. Cinque di questi cippi sono ancora visibili sul lato
settentrionale insieme a resti della pavimentazione in traver-
tino.
Lungo i bordi dell'area pavimentata correva un portico a
due ordini del quale rimangono pochi resti, situati oltre la
strada moderna verso le pendici del colle Oppio.
Sull'esterno del Colosseo si possono notare delle iscrizioni
che ricordano alcuni dei fatti salienti che hanno riguardato
l'anfiteatro ovvero lavori di consolidamento e soprattutto la
proibizione del papa Benedetto XIV nel 1744 di svolgere
ulteriori spoliazioni al monumento; sono da ricordare anche
alcuni dei lavori di consolidamento ricordati dalle iscrizioni
come la costruzione dello sperone in opera laterizia costruito
tra il il 1805 e il 1820 per sostenere i fornici rimasti dal lato
del Celio dopo il crollo di una parte delle arcate rivolte verso
il Celio a causa di un terremoto avvenuto nel 1703; si pos-
sono ricordare altre iscrizioni come quella riguardante i la-
vori fatti svolgere da Gregorio XVI nell'anno 1845 e tanti
altri.

L'INTERNO DEL COLOSSEO

 L'attuale ingresso del Colosseo è situato sul lato meridionale,
all'altezza dell'asse minore dell'anfiteatro.
Lo stato di conservazione della cavea e la piena visibilità dei
sotterranei dell'arena (all'epoca coperti da una pavimenta-
zione lignea), non danno la possibilità di ridare un'immagine
realistica dell'edificio, ma danno in cambio un aiuto a com-
prendere come fosse strutturato il sistema dei corridoi e dei
passaggi interni.
I quattro livelli esterni corrispondono internamente ai diver-
si settori delle gradinate.
I due ingressi monumentali situati sull'asse minore era de-
stinati alle autorità politiche e conducevano a due pulpiti
centrali dei quali sfortunatamente non è rimasto niente; per
il pubblico esisteva tutta una serie di percorsi obbligati,
ripetuti simmetricamente nei singoli quadranti della cavea.
Il primo settore, formato da ampi ripiani sui quali erano po-
sizionati i sedili (detti subsellia), era destinato ai senatori; a
tale area si accedeva direttamente, tramite una breve rampa,
da ingressi situati nel quarto corridoio anulare. La vicinanza
all'arena favoriva la vista per gli spettacoli ma portava note-
voli rischi per gli illustri spettatori presenti; per evitare pos-
sibili incidenti venne costruita un'alta e robusta transenna
lungo il bordo dell'arena (per maggiori dettagli vedere la pa-
gina dedicata all'arena e i sotterranei del Colosseo). Un re-
stauro degli anni trenta del secolo scorso ha ricostruito una
parte del settore senatorio nella forma di una gradinata (ve-
dere la seconda immagine dall'alto), ben visibile vicino al-
l'ingresso orientale.
Tra il muro del podio e il bordo dell'arena c'era una galleria
di servizio coperta, oggi quasi del tutto scomparsa, e visibi-
le solo nella parete di fondo dove si aprivano ventiquattro
nicchie, rivestite di cocciopesto e con pavimentazione in tra-
vertino. Il sistema di raccolta e canalizzazione delle acque
porta a supporre che queste nicchie nell'antichità avessero la
funzione di latrine.
Il percorso coperto era destinato al personale di servizio le-
gato ai giochi e poteva essere raggiunto tramite ingressi posti
nel quarto corridoio anulare della cavea e non accessibili al
pubblico, chiusi da porte di cui rimangono solamente i fori
dei cardini posti sulle soglie di marmo.
Sul lato dove è situato l'attuale ingresso (in corrispondenza
della galleria di servizio che è stata ampiamente ricostruita
nell'800), oltre una cancellata si possono vedere delle strut-
ture appartenenti a un passaggio sotterraneo che è ricordato
dalle fonti come il luogo del tentato assassinio dell'impera-
tore Commodo. Sono conservati tratti della pavimentazione
a tessere bianche e nere oltre a parti del rivestimento in mar-
mo, dell'intonaco dipinto e della decorazione a stucco delle
volte.
Delle rampe di scale situate nel terzo corridoio anulare da-
vano accesso al secondo settore dell'anfiteatro, ovvero la pri-
ma balconata, detta maenianum primum: era costituita da
un ripiano circolare (praecinctio) con un corridoio interno
(iter) ed era dotata di otto gradinate in marmo.
Il terzo settore (detto maenianum secundum) è raggiungibile
da rampe di scale molto ripide, situate in posizione diame-
tralmente opposta rispetto a quelle che davano accesso al se-
condo settore; questo settore era a sua volta diviso in due fa-
sce dette imum e summum: il primo era caratterizzato da
pianerottolo (praecinctio) e da un suo corridoio (iter) insieme
a una lunga gradinata con al centro gli ingressi per le scali-
nate detti vomitoria (la praecinctio posteriore di questa parte
è piuttosto alta per la presenza di altri ingressi e di finestre
per illuminare il corridoio posteriore); la seconda fascia, cor-
rispondente alla parte superiore del terzo settore, era formata
da 18 gradini la cui praecinctio posteriore forma la base della
terza balconata. Questo settore aveva il maggior numero di
posti a sedere.
L'ultimo settore (la terza balconata), situato in corrisponden-
za del quarto ordine esterno, era detto maenianum summum
in ligneis poiché era formato da strutture in legno (da qui il
riferimento) e coronato da un portico di ottanta colonne in
cipollino e granito con capitelli corinzi e compositi, con un-
dici gradini in legno (al piano terra sono attualmente deposi-
tate alcune parti di colonne e alcuni capitelli in parte risalen-
ti al restauro svolto in epoca severiana).
Il complesso sistema di rampe e passaggi permetteva un af-
flusso e deflusso molto semplici, inoltre garantiva il rispetto
della distribuzione dei posti prefissati e strutturati per fasce
sociali.

Essendo spettacoli pubblici, l'ingresso all'arena per vedere
i giochi era libero.
I cittadini per entrare possedevano un contrassegno sul quale
veniva riportato il posto assegnato e il percorso da seguire
per raggiungerlo: il numero dell'arcata di ingresso, quello
del maenianum, del cuneo (lo spicchio di arena in cui i mae-
niana era divisi), e infine il numero del gradino. Il posto era
situato in settori destinati a ben precise classi sociali, già re-
golamentati all'epoca di Augusto: ai senatori era destinata la
prima fascia del podium; ai cavalieri era destinata la prima
fascia del primo maenianum, posto immediatamente sopra a
quello dei senatori.
La suddivisione era garantita da iscrizioni, incise sui gradini,
che indicavano le magistrature, le classi sacerdotali, le cate-
gorie sociali o i gruppi etnici ai quali era assegnato il posto.
Grazie ad alcune epigrafi si sono potuti riconoscere i posti
assegnati agli ambasciatori e ai diplomatici (definiti come
hospites) oppure la loro origine etnica; altri frammenti docu-
mentano i posti speciali destinati ai giovani praetextati (i
giovani non ancora giunti all'età virile e ai doveri civili in-
dossavano la toga praetexta) e quelli per gli insegnanti di
scuola (paedagogi puerorum).
Un testo datato per l'anno 80 d.C. ha fatto conoscere i posti ri-
servati ai membri del collegio sacerdotale degli Arvali, sepa-
rati e distinti per settori (partendo dal podium fino ai gradini
lignei) a seconda del grado rivestito all'interno del collegio.
I senatori avevano posti nominali sui quali veniva trascritto
per esteso il nome gentilizio, come documentato dai blocchi
marmorei iscritti, in origine situati lungo il margine del po-
dio come parapetto e oggi posti intorno all'arena. Sulla fron-
te è la dedica per i restauri effettuati alla cavea dal prefetto
di Roma Flavio Paolo nella metà del V secolo. Sul retro sono
le epigrafi dei nomi di alcuni senatori in corrispondenza dei
posti di appartenenza della prima fila.
In altri casi i nomi erano incisi sul bordo superiore dei gra-
dini di marmo, e venivano progressivamente abrasi e sosti-
tuiti con lo scorrere degli anni: quelli ancora leggibili appar-
tengono alla classe senatoria della fine del V secolo, l'ultima
a partecipare agli spettacoli.

La valle del Foro Romano è, in gran parte, il risultato dell'erosione, entro il compatto banco di tufo vulcanico, di uno dei tanti rigagnoli e fiumicelli che si versano nel Tevere. La depressione del Foro, tra il Campidoglio e il Palatino, si prolunga a sud-ovest verso il fiume, nella valle del Velabro. Gli scrittori antichi ci confermano la natura paludosa e inospitale della valle del Foro, tanto che, dalla prima età del ferro (IX secolo a.C.) fino agli ultimi decenni del VII, questa valle sarà utilizzata come sepolcreto. Dobbiamo attendere l'avvento della dinastia etrusca dei Tarquini, e in particolare di Tarquinio Prisco, che, con la costruzione di un grandioso sistema di fognature (la Cloaca Maxima) riuscì a drenare il fondo paludoso delle valli, per vedere i primi insediamenti. Infatti, quasi contemporaneamente, venne costruita la prima pavimentazione del Foro (intorno al 600 a.C.). L'antichità del Comizio (comitium significa luogo di riunione) risulta anche dalla scoperta di un complesso monumentale, il Lapis Niger, attribuibile con tutta probabilità all'età regia (VI secolo a.C.). I primi anni della Repubblica (509 a.C.) videro la costruzione dei primi santuari: quello di Saturno e quello dei Dioscuri, ovvero Castore e Polluce. Per ritrovare un'attività edilizia degna di nota dobbiamoforo romano arrivare al IV secolo, quando Camillo, vincitore dei Galli, fece costruire (nel 367) il Tempio della Concordia. Ma il grande sviluppo edilizio del Foro (nella foto a destra) si ebbe più tardi, dopo la fine delle guerre puniche, che diedero a Roma il dominio incontrastato del Mediterraneo occidentale, mentre con le guerre d'Oriente contro gli stati ellenistici, Roma allargò il suo dominio anche nel settore orientale. La capitale dell'impero trasformò in pochi decenni l'aspetto del Foro. Sorsero, così, nel II secolo a.C., ben quattro basiliche (la Porcia, l'Emilia, la Sempronia, l'Opimia), vennero anche ricostruiti i templi della Concordia e dei Dioscuri. All'inizio del I secolo a.C., la ricostruzione del Campidoglio fornì alla zona un fondale monumentale, il Tabularium. La sistemazione monumentale dell'area portò al trasferimento delle funzioni politiche dal Comizio, divenuto troppo piccolo, al Foro, dove si sarebbero svolti i comizi legislativi, mentre da quest'ultimo trasmigrarono altrove, in edifici appositamente costruiti (il Macellum), gran parte delle funzioni economiche e commerciali. La crisi della Repubblica ed il passaggio del potere nelle mani di personalità tendenzialmente monarchiche portò ad un ulteriore cambiamento di funzioni, che si tradusse in una ristrutturazione urbanistica. Le opere apportate da Cesare, da Augusto e da Tiberio trasformarono la piazza del Foro in uno sfondo di rappresentanza, destinato ad esaltare il prestigio della dinastia. Alla fine del III secolo, quando gli ultimi residui del principato augusteo furono spazzati via dalla riforma diocleziana e l'Impero divenne, di diritto, monarchia assoluta, l'area del Foro fu invasa da costruzioni colossali: le sette colonne onorarie, i monumenti commemoranti il decennale della Tetrarchia e la statua equestre di Costantino. La colonna di Foca, eretta nel 608 al centro dell'area, chiude la storia del Foro Romano. Il Foro, quindi, costituì in origine un mercato, per poi divenire, man mano che la città acquistava in potenza e ricchezza, il centro della città stessa, luogo di riunioni e comizi, accademia di cultura e d'arte. L'origine del nome "foro" deriva dal latino "fero", cioè "porto", alludendo al fatto che le merci venivano "portate" lì, al mercato, per essere vendute. Dovettero trascorrere molti secoli affinché l'area del Foro torni ad essere nuovamente un mercato, in particolare legato al commercio delle bestie, da cui la nuova denominazione di "Campo Vaccino", risalente almeno alla metà del XVI secolo, come risulta da una bolla di Sisto V dell'8 aprile 1589. La gabella che i bovari dovevano pagare per vendere le bestie vaccine era regolata da apposite disposizioni e norme, che venivano applicate e fatte scrupolosamente rispettare da un "Governatore della Dogana di Campo Vaccino". Qui si svolgeva la compravendita, come in una fiera, dei bovini e delle pecore. Tutto questo mercato durò fin quando, in epoca napoleonica, iniziarono nel Foro gli scavi: li curò Pio VII ma i lavori di sterro erano eseguiti in gran parte da galeotti. Il papa riuscì a far riemergere l'arco di trionfo di Settimio Severo, liberandolo dalla terra, che nascondeva il monumento fino all'altezza di dodici piedi. Nel 1813 fu sterrata una fra le tante colonne onorarie erette nel Foro, la colonna di Foca. Siccome il Foro Romano non era più un Campo Vaccino, Pio VII smantellò la fontana-abbeveratoio progettata da Giacomo Della Porta, costituita da una grande tazza di granito orientale di 28 piedi di diametro e da un mascherone racchiuso nella valva di una conchiglia: la tazza fu trasferita davanti al palazzo del Quirinale, ai piedi dell'obelisco e mascheronedelle due statue equestri di Castore e Polluce, mentre il mascherone (nella foto a sinistra) fu trasferito qualche anno dopo al Porto Leonino e soltanto nel 1936 in piazza Pietro d'Illiria, dove ancora oggi possiamo ammirarlo ad ornamento di un'altra fontana. Il nome di Campo Vaccino è strettamente legato ad una delle più antiche e gagliarde tradizioni romane: la "sassaiola". Queste furiose battaglie con i sassi (o "rocci", come venivano chiamati) si svolgevano fra i bulli dei vari rioni, soprattutto di Trastevere e di Monti, acerrimi nemici tra loro, nella pianura del Foro, dove i "rocci" certamente non mancavano. L'intensa attività edilizia che si aprì con il ritorno della sede papale in Roma, dopo l'esilio avignonese, provocò lo sfruttamento intensivo dei materiali antichi: l'ampia area del Foro si trasformò in una gigantesca e quasi inesauribile cava di marmi e pietre, distruggendo tutti quei monumenti che si erano conservati nei secoli, protetti da una spessa coltre di terra. Questa pratica vandalica finì nel XVII secolo, forse anche perché terminò la materia prima da prelevare. La liberazione sistematica delle rovine iniziò soltanto nel XIX secolo, anche se occorre attendere la fine del secolo stesso per liberare praticamente tutta l'area oggi visibile.